diritto alla qualifica superiore

Diritto alla qualifica superiore, part-time e principio di non discriminazione

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In ipotesi di attività promiscue, ai fini delle mansioni superiori deve essere preso in considerazione il profilo qualitativamente superiore, anche se il dipendente lavora part-time

Il principio è stato ribadito in via definitiva dalla Corte di Appello di Venezia, con la sentenza n. 170/2020 del 24.06.2020 resa allo Studio in parziale riforma di quanto deciso dal Tribunale di Vicenza.

Il caso vede coinvolta una psicologa, dipendente di una struttura socio-assistenziale, che svolgeva anche compiti di coordinamento dell’unità operativa. In aggiunta a ciò, la lavoratrice era stata assunta per i primi tre anni con un contratto a tempo parziale trasformato successivamente a tempo pieno.

Il Contratto Collettivo prevedeva l’inquadramento alla categoria superiore per lo svolgimento della mansione di “psicologa/o se in possesso di 5 (cinque) anni di esperienza nel ruolo” ragion per cui la lavoratrice, maturato il diritto, ha chiesto il riconoscimento della categoria superiore, diversamente negato dal datore di lavoro sul presupposto che, sebbene assunta come psicologa aveva svolto anche altre mansioni (di coordinamento) e che, inoltre, avendo lavorato per i primi anni a tempo parziale, non aveva maturato il diritto atteso che i cinque anni previsti dalla norma erano riferiti al lavoro a tempo pieno.

Il Tribunale di Vicenza, nell’accogliere la domanda della lavoratrice in primo grado, aveva affermato che “la circostanza che l’attività sia stata svolta in regime di part-time non può far escludere l’esperienza maturata, ma la stessa deve essere considerata tenuto conto dell’attività effettivamente svolta, in quanto l’esperienza è direttamente proporzionale alla stessa”.

La Corte di Appello di Venezia, nel respingere l’impugnazione proposta dal datore di lavoro e confermando la sentenza di primo grado, ha tuttavia ribadito che “anche in ipotesi di compiti promiscui, ai fini delle mansioni superiori doveva essere preso in considerazione il profilo qualitativamente superiore ed in particolare nel caso di specie le mansioni di psicologa” svolte abitualmente, evidenziando che lo stesso CCNL, ai fini della prevalenza, indicava che venisse presa in considerazione l’attività di “maggior valore professionale” abitualmente esercitata.

Quanto poi allo svolgimento dell’attività a tempo parziale la Corte ha ribadito il principio di non discriminazione di cui all’art. 4 del D. Lgs. 61/2000 secondo cui “il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile”.

Già la stessa Corte di Giustizia Europea aveva avuto modo di affermare che l’anzianità [di lavoro (NdR)] deve corrispondere alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso del rapporto stesso” (CGE Sent. 10.06.2010, Cause riunite C935/08 e C936/08). 

Principio ribadito anche dalla Cassazione Sez. Lav. nella sentenza n. 8966/2018 secondo cui: “In tema di lavoro a tempo parziale, il rispetto del principio di non discriminazione, di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 61 del 2000, attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale, comporta che il lavoratore in regime di part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, che va individuato esclusivamente in quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all’articolo 1, comma 3, dello stesso decreto, senza che possano valere criteri alternativi di comparazione, quale quello delle diverse modalità di turnazione seguite dai lavoratori a tempo pieno”.

Avv. Adriano Caretta