Anche il mobbing sul lavoro è una malattia professionale

condividi con:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on email

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Vicenza, con la sentenza n. 19 del 16 gennaio 2020, resa allo studio, ha riconosciuto la natura professionale di una malattia qualificata come grave forma di sindrome ansioso-depressiva contratta in un ambiente di lavoro, in cui l’attività era svolta in un clima di pressione psicologica degradato e degradante e, conseguentemente, ha condannato l’Inail a indennizzare il lavoratore.

Le vessazioni o il de-mansionamento subiti sul luogo di lavoro e anche l’organizzazione complessiva della singola realtà produttiva che abbiano prodotto una patologia da stress per il lavoratore configurano la nozione di malattia professionale poiché sono da considerarsi tali, non solo quelle elencate nelle apposite tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa.

Si parla più in generale di “occasione di lavoro” che consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative.

Recentemente, anche la Suprema Corte di Cassazione ha reso meno gravoso l’onere della prova in capo al lavoratore, ritenendo ammissibile la dimostrazione dei comportamenti vessatori tramite presunzioni purché siano plurime, precise e concordanti, tenuto conto anche della particolare difficoltà di reperire testimoni in grado di riferire circa le vessazioni e considerato il limitato contesto aziendale (Cass. Civ., Sez. Lav. n. 23918/2019).

In ambito più specificatamente previdenziale, ai fini della configurabilità del mobbing, la Cassazione ha ribadito che “la tutela assicurativa INAIL va estesa ad ogni forma di tecnopatia, fisica o psichica, che possa ritenersi conseguenza dell’attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l’organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi specificamente indicati in tabella: essendo sufficiente soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata” (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 6346/2019).

La sentenza del Tribunale di Vicenza, unitamente ai recenti approdi dei Giudici di legittimità, costituiscono un significativo passo per dare piena cittadinanza alle malattie psichiche originate dal lavoro, come tali indennizzabili dall’Inail per quanto riguarda il danno biologico e successivamente di porre a carico del datore di lavoro il c.d. “danno differenziale”, salvo in ogni caso il diritto di rivalsa da parte dell’Ente assicurativo.