licenziamento collettivo

Trasferimento e tutela del rapporto di lavoro

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Quando è nullo il licenziamento collettivo intimato per cessazione dell’attività nel caso di subentro di altra società nell’attività.

È nullo il licenziamento collettivo intimato per cessazione dell’attività, nel caso di subentro di altra società nell’attività economica cessata con assunzione della quasi totalità della forza lavoro in precedenza addetta all’attività medesima.

Con la sentenza n. 7121 del 2016 la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che “in tema di trasferimento di azienda, ai fini dell’accertamento dell’identità dell’entità economica trasferita va preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione, tra le quali rientrano il tipo di impresa, la cessione o meno di elementi materiali, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno delle parti più rilevanti del personale a opera del nuovo imprenditore, il grado di somiglianza delle attività esercitate prima e dopo la cessione“.

La fattispecie riguarda l’applicazione dell’art. 2112 c.c. che salvaguarda il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda. La questione si pone allorchè sia necessario individuare l’azienda come tale, ovvero cosa debba intendersi con tale termine.

Il principio consolidato postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa, nella sua identità obiettiva, sia passato da un soggetto ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, prescindendo da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione.

Ciò significa che il trasferimento d’azienda è configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica attività (Cass. 16 maggio 2013, n. 11918; Cass. 13 aprile 2011 n. 8460; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21278; Cass. 10 marzo 2009 n. 5708; Cass. 8 ottobre 2007 n. 21023; Cass. 7 dicembre 2006, n. 26215).

Già la Corte di Giustizia Europea aveva affermato che deve considerarsi trasferimento d’azienda anche l’acquisizione di un complesso stabile organizzato di persone quando non occorrono mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica (cfr. Corte Giustizia 6 settembre 2011, causa C 108/10; Corte Giustizia 20 gennaio 2011, causa C 463/2009). L’interpretazione è nel senso che l’identità dell’entità economica trasferita si fonda su determinati indici quali il tipo di impresa, la cessione o meno di elementi materiali, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno delle parti più rilevanti del personale ad opera del nuovo imprenditore, il grado di somiglianza delle attività esercitate prima e dopo la cessione: anche un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune può corrispondere ad un’entità economica che può conservare la propria identità ove il nuovo titolare non si limiti a proseguire l’impresa ma riassuma anche una parte essenziale (in termini di numero e di competenza) del personale specificamente destinato dal predecessore a tali compiti.

Tutti questi elementi vanno considerati non isolatamente bensì nell’ambito di una considerazione complessiva. La Corte di Giustizia, infatti, aveva chiarito che l’ambito di applicazione della direttiva 77/187/CEE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti) coincide con la modificazione del titolare dell’azienda, indipendentemente la successione avvenga nella titolarità della stessa sulla base di un rapporto contrattuale diretto tra cedente il cessionario. Ciò in quanto, ai fini dell’applicazione della direttiva, non è necessaria l’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra cedente cessionario, atteso che la cessione può essere effettuata anche in due fasi per effetto dell’intermediazione di un terzo.

Conformemente a tali indirizzi, la Corte di Cassazione ha stabilito che è configurabile il trasferimento di un ramo di azienda pure nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili. In tali circostanze si realizza una successione legale del contratto di lavoro che non abbisogna del consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.c., (cfr., tra le prime, Cass. n. 493/2005, e poi, in particolare, Cass. n. 5709/2009, citate, nonchè Cass. 28.4.2014, n. 9361) e a cui si estendono le tutele di cui all’art. 2112 c.c..